L’uomo in fuga di Stephen King (Richard Bachman): quando l’horror smette di urlare e inizia a osservarti

Published on

in

Stephen King, Richard Bachman e l’idea di scomparire

Prima di parlare de L’uomo in fuga, bisogna parlare di Richard Bachman.
Perché questo romanzo non nasce solo come storia, ma come esperimento identitario.

All’inizio degli anni Ottanta Stephen King era già un autore di enorme successo. Carrie, Shining, Salem’s Lot lo avevano consacrato, ma il sistema editoriale dell’epoca aveva un problema molto concreto: un autore non poteva pubblicare più di un libro all’anno senza saturare il mercato. King scriveva troppo, troppo velocemente, troppo bene. E soprattutto scriveva storie che non rientravano sempre nel “marchio” che il pubblico si aspettava da lui.

Nasce così Richard Bachman.

Non uno pseudonimo scelto per vanità, ma per sparizione. King voleva capire se i suoi libri avrebbero funzionato senza il suo nome in copertina. Voleva sapere se il talento era reale o solo il risultato della fama. Con Bachman scrive romanzi più duri, più secchi, più politici, privi di consolazione. Storie in cui l’orrore non arriva da fuori, ma è già incorporato nella società.

L’uomo in fuga viene pubblicato nel 1982 con questa identità fittizia. La maschera cadrà pochi anni dopo, quando un libraio noterà inquietanti somiglianze stilistiche e King sarà costretto ad ammettere la verità. Ma nel frattempo Bachman aveva già detto ciò che King, con il suo nome, non avrebbe potuto dire così apertamente.


Un futuro che assomiglia troppo al presente

L’uomo in fuga è ambientato in un’America futura, degradata, inquinata, impoverita. Ma la parola “futuro” è quasi una formalità. Non ci sono tecnologie fantascientifiche avanzate, non ci sono città iper-moderne: c’è solo un mondo più stanco, più cinico, più disuguale.

La televisione domina tutto. Non informa, non educa: intrattiene. E lo fa con programmi estremi, in cui la sofferenza reale viene trasformata in spettacolo. Il più popolare è The Running Man: un game show in cui un uomo viene lasciato libero per il mondo e braccato per giorni, settimane, mesi. Se sopravvive fino alla fine, vince. Se muore, intrattiene.

Qui King anticipa con una precisione inquietante format come Squid Game, Hunger Games, Battle Royale, ma senza estetica, senza simbolismi patinati. È sporco, stancante, ansiogeno. Non c’è alcun piacere nel guardare: c’è solo la constatazione che qualcuno deve morire perché qualcun altro possa sentirsi vivo.


Ben Richards: un uomo, non un eroe

Ben Richards non è un protagonista carismatico. Non è brillante, non è strategico, non è particolarmente simpatico. È un uomo povero, arrabbiato, disperato. Ha una moglie e una figlia malata. Ha bisogno di soldi. Punto.

Quando entra nel gioco, non lo fa per sfida o per gloria, ma perché non esiste un’alternativa reale. Ed è qui che il romanzo colpisce più forte: la scelta di Ben è una scelta forzata. È il consenso sotto ricatto.

Da quel momento inizia il conto alla rovescia. I capitoli sono scanditi da numeri negativi: −100, −99, −67… non giorni che passano, ma vita che viene sottratta. Ogni numero è un promemoria: Ben non sta avanzando, sta consumandosi.

Durante la fuga, Richards attraversa città, periferie, rifugi improvvisati. Incontra persone che sembrano gentili, ma potrebbero denunciarlo per una ricompensa. Non esiste fiducia. Ogni volto è potenzialmente una trappola. L’intero mondo è il set, l’intera società è il pubblico.

Ed è impossibile non pensare a The Truman Show: anche Ben è osservato, anche Ben è prigioniero di uno spettacolo. Ma a differenza di Truman, non è protetto. È sacrificabile. Se Truman è l’illusione rassicurante del controllo, Ben è la sua versione più vera e crudele.


Un’ansia che non molla mai

La lettura de L’uomo in fuga è profondamente ansiogena. Non per colpi di scena improvvisi, ma per assenza di tregua. Non c’è un momento in cui il romanzo rallenta davvero. Non c’è un luogo sicuro. Non c’è una pausa emotiva.

Arrivati a −67, come lettori, si smette di pensare in termini di pagine. Si ragiona in termini di resistenza. King riesce a farti interiorizzare il meccanismo del gioco: anche tu inizi a contare, a perdere fiato, a chiederti quanto ancora durerà.

Ed è qui che il romanzo dimostra di essere horror, anche senza mostri. Perché l’horror non è solo paura improvvisa. È oppressione, è sentirsi osservati, è sapere che il sistema è contro di te e che nessuna scelta è davvero libera.


Un finale che non consola

Senza entrare nei dettagli, il percorso di Ben Richards non porta a una redenzione classica. Non c’è catarsi. Non c’è vittoria pulita. C’è solo la logica finale di un sistema che si nutre di spettacolo e distruzione.

King non vuole rassicurare. Vuole lasciare il lettore con una domanda scomoda:
quanto siamo disposti a guardare prima di smettere di sentirci responsabili?


Cosa ho pensato io leggendo L’uomo in fuga

Leggere L’uomo in fuga oggi è stato come guardare una distorsione del presente. La sensazione dominante non è stata la paura, ma l’ansia. Un’ansia costante, sottile, che cresce pagina dopo pagina. Il romanzo mi ha ricordato Squid Game, certo, ma anche Escape Room, Black Mirror e The Truman Show. Con una differenza fondamentale: qui non c’è estetica, non c’è spettacolarizzazione della violenza. C’è solo stanchezza.

Mi ha colpito quanto il libro riesca a essere horror senza usare il soprannaturale. È un horror sociale, politico, umano. Fa paura perché è plausibile. Perché le persone che guardano non sono mostri, ma individui impoveriti, rassegnati, anestetizzati.

Arrivata a −67 ho capito che il romanzo non stava raccontando solo la fuga di Ben Richards, ma la nostra. La fuga da un mondo che ci osserva, ci giudica, ci intrattiene mentre consumiamo noi stessi.

L’uomo in fuga non è solo un romanzo distopico. È una radiografia.
E come tutte le radiografie, non fa male per quello che mostra, ma per quello che conferma.

Lascia un commento


Eilà!

Benvenuto nel nostro angolo segreto, dove le pagine prendono vita e le storie ti avvolgono come un caldo abbraccio (o un brivido lungo la schiena, a seconda di cosa stai leggendo!). Se anche tu non riesci a smettere di immergerti in nuove avventure, siamo felici di averti qui. Tra recensioni fresche, consigli imperdibili e qualche chiacchiera da lettori appassionati, c’è sempre qualcosa di interessante in arrivo. Pronto a scoprire il prossimo libro che non riuscirai a mollare? Noi siamo pronti a guidarti nel viaggio!🚀


Unisciti al club